Alessandro Capuzzo è un attivista che ha segnalato le criticità relativamente al transito di navi a propulsione nucleare nel Free Port di Trieste. Approfondiamo questa tematica ed altri temi ad essa collegati con quest’intervista.
Redazione Trieste Times: Secondo lei cosa dovrebbe prevedere un “Piano di emergenza esterna per la sosta di unità militari a propulsione nucleare” che sia applicabile ed efficace per i cittadini di Trieste?
Alessandro Capuzzo: Riguardo alla stesura del Piano di emergenza, abbiamo proposto già due anni fa al Commissario del Governo a Trieste alcune proposte, suggeriteci da esperti.
Esso dovrebbe essere frutto di valutazioni ed elaborazioni, di esclusiva competenza delle autorità italiane, con carattere vincolante per le navi ospiti. La nuova normativa concede spazi in proposito, anche per il ruolo dell’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione, ed è importante che il Documento tecnico previsto, redatto dal Ministero della difesa, tenga conto e faccia riferimento alle procedure di emergenza della nave ospitata in rada. Si tratta di documenti militari che, sia pure emendati in alcune parti, devono essere messi a conoscenza delle autorità italiane al fine di integrare le misure previste nel piano di emergenza. Non si può predisporre un attendibile “Piano di emergenza esterna per le aree portuali“ senza conoscere cosa il comandante della nave è tenuto a fare in caso di incidente.
Circa l’allontanamento della nave, un solo rimorchiatore non è sufficiente a
spostare un’imbarcazione di grandi dimensioni, e dati i rischi per la popolazione non sembra opportuno sottilizzare su chi gravino le responsabilità. Fermo restando che dev’essere garantita la presenza di una
nave appoggio della marina ospitata, è importante che per il periodo di sosta in rada della nave a propulsione nucleare siano messi a disposizione dalle autorità italiane almeno due rimorchiatori di supporto.
Altra richiesta che rivolta, anche all’ISIN e all’Autorità portuale, è che da subito si predisponga un monitoraggio periodico del livello di radiazioni al suolo per una profondità di alcuni Km e un equivalente monitoraggio radiale delle acque marine per una distanza di 30 Km dal porto di Trieste. Allo scopo di fissare il valore di fondo, rispetto al quale si registreranno variazioni di radioattività in presenza di naviglio a propulsione nucleare; e di poter valutare se ci siano o meno rilasci radioattivi da parte di queste navi anche in condizioni non incidentali. Questo tracciamento dev’essere relazionato allo stato delle correnti nel golfo di Trieste. Da articoli di stampa, ci sembra che qualcosa sia stato messo in opera.
Tra le misure cautelative si può senz’altro prevedere che tutto il materiale (organico e non) proveniente dalla nave a propulsione nucleare, sia trasportato a terra da bettoline in appositi e separati contenitori, e non avviato a discarica prima di un accurato controllo radiometrico.
R: Quale sarebbe quindi il metodo più rapido ed efficace per informare la popolazione?
A.C.: Il segreto imposto “per motivi di sicurezza” su notizie necessarie a una puntuale informazione, impedisce la corretta valutazione dei pericoli, costringe le istituzioni a omettere importanti conoscenze e nasconde alla popolazione le situazioni di pericolo. È innanzitutto necessaria una chiara informazione sull’entità del pericolo reale, non ipotetico tanto più in presenza di una situazione di guerre combattute tutto intorno a noi da nordest a sudovest; guerre nelle quali l’Italia è ampiamente coinvolta a livello politico e militare, a cominciare dalle forniture d’armi.
Come accennato sopra, il metodo più rapido ed efficace sarebbe senz’altro l’esercitazione antinucleare, nella quale coinvolgere la popolazione in modo che possa prevenire per quanto possibile l’enorme danno che potrebbe verificarsi.
Che ruolo potrebbe o dovrebbe avere la questione della neutralità di Trieste e del suo Porto, in questo contesto?
In contrasto con il Trattato di Pace, il Golfo di Trieste ospita due porti nucleari
militari di transito: Trieste e Capodistria. La presenza dei due centri urbani rende virtualmente impossibile prevenire con efficacia gli incidenti alla propulsione nucleare delle navi, alla presenza di armi di
distruzione di massa, alla possibilità di divenire bersaglio militare e nucleare.
Basti ricordare l’attentato all’Oleodotto Siot del 1972.
La novità nel Diritto internazionale imposta dal nuovo Trattato ONU di Proibizione delle Armi Nucleari (cui l’Italia non aderisce per gli asseriti obblighi derivanti dall’Alleanza atlantica) ci ha permesso di depositare, alla Conferenza Onu istitutiva dello stesso la proposta di denuclearizzare il Golfo voi porti di Trieste e Koper-Capodistria, fondata anche sul Trattato di Pace con l’Italia del 1947 che sancisce la Smilitarizzazione e Neutralità di questo Territorio, del quale il Commissario del Governo è Garante per la parte Italiana.
Qual è l’obiettivo pratico di quest’iniziativa? Quale sarebbe, per lei, un risultato indubbiamente positivo ottenuto a riguardo?
Da un lato, ottenere dei Piani di emergenza in caso d’incidente nucleare militare in porto aderenti il più possibile alla realtà delle cose, funzionali ed efficaci, anche se nel caso di un cataclisma nucleare un certo fatalismo verrebbe spontaneamente da sostenere.
Dall’altro però fare in modo da ottenere una prima Zona Nuclear Free nel Mediterraneo (ne esistono già sei o sette che coinvolgono interi continenti in Africa, Sudamerica, Asia e Oceania) in base al Trattato ONU di Proibizione delle Armi Nucleari e del Trattato di Pace di Parigi, che obbliga i contraenti a rispettare quanto deciso dal Consiglio di Sicurezza in merito alla smilitarizzazione e neutralità di Trieste e del suo Porto Franco Internazionale. Per non menzionare le ricadute positive sul Litorale di Capodistria con il suo Porto e sull’Istria nord-occidentale,che farebbero parte a pieno titolo di questa Nuclear Free Zone.
Ci sono elementi che portano a pensare che, oltre alla propulsione, vi siano delle armi nucleari pronte all’uso, all’interno delle navi finora attive nel nostro Porto?
E’ importante ricordare che il 15 novembre 2002 un sottomarino nucleare americano si scontrò con una nave gasiera, per fortuna vuota, al largo del rigassificatore di Barcellona. E nel 1975 nello Ionio, l’incrociatore Belknap
con testate missilistiche nucleari a bordo entrò in collisione con la portaerei Kennedy e prese fuoco.
L’Italia aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare, ma non è dato sapere se armi di distruzione di massa, la cui presenza è vincolata dal segreto, siano presenti sulle navi ospiti; inoltre i reattori nucleari militari non
sono sottoposti alle norme di sicurezza previste per gli impianti civili, fatto anacronistico in un Paese espressosi due volte contro il nucleare per via referendaria.
La Provincia di Trieste è stata il primo degli Enti locali a chiedere negli anni scorsi la derubricazione di Trieste dall’elenco dei Porti nucleari, seguita dai Comuni di Sgonico/Zgonik, Muggia/Milje e Monrupino/Repentabor, i quali
assieme a S.Dorligo della Valle/Dolina, Duino-Aurisina/Devin-Nabrežina e Trieste/Trst che hanno aderito alla “2020 Vision” per un mondo libero da armi nucleari, promossa dal Sindaco di Hiroshima.
Il porto di Capodistria/Koper insiste sul Golfo di Trieste, e dopo l’adesione della vicina Repubblica alla Nato è divenuto scalo di naviglio militare nucleare. Una norma del codice marittimo sloveno che l’avrebbe potuto
impedire è stata appositamente rimossa.
Considerate le guerre in corso, è palese la preoccupazione per il pericolo esistente, tenuto conto dello stato di pre-belligeranza di Unione
Europea ed Italia verso la Federazione Russa e il sostegno politico e militare fornito a Israele.
In Friuli Venezia Giulia esistono diverse decine di bombe nucleari americane nella base aerea di Aviano, mentre la città di Trieste è nell’elenco dei porti messi a disposizione dal Governo italiano per il transito e la sosta di navi e sommergibili da guerra a propulsione nucleare di flotte “alleate”, che potrebbero con ogni evidenza detenere ordigni nucleari a bordo.